La condanna basata sul sistema di messaggistica crittografata ByLock ha violato il diritto ad un equo processo

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Nel caso Yüksel Yalçinkaya v. Turchia la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in data 26.9.2023 ha stabilito che le autorità turche avessero violato i diritti dell’uomo stabiliti dalla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali. Tra le varie violazioni riscontrate, anche il diritto ad un equo processo, previsto dall’art. 6.

La vicenda riguardante il sistema di messaggistica crittografata

Il ricorrente è stato condannato quale partecipe all’organizzazione terroristica armata FETÖ/PDY, responsabile del tentato colpo di stato del luglio 2016. Tra le prove a carico del soggetto, quella principale è stata l’utilizzo del sistema di messaggistica crittografata ByLock, ritenuta progettata dall’organizzazione terroristica ai fini delle sue comunicazioni ed impiegata esclusivamente dai membri della compagine. Sulla base delle informazioni estratte dai servizi di sicurezza nazionali (MIT) sul server dell’applicazione, inclusi gli indirizzi IP delle persone che vi si sono connesse, sono state avviate le indagini con cui gli utenti del sistema ByLock sono stati accusati di appartenenza al FETÖ/PDY.

Il ricorso alla CEDU

Il ricorrente ha eccepito la disclosure della prova elettronica, contestando che non avesse avuto la possibilità di contrastare la tesi accusatoria, che aveva basato la consapevole adesione al sodalizio criminale soprattutto nell’utilizzo del sistema di messaggistica crittografata ByLock.

Il diritto a un processo equo previsto dall’art. 6 CEDU

L’art. 6 CEDU stabilisce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

La questione affrontata dalla Corte EDU

La questione affrontata nel giudizio avanti la Grande Camera della Corte è stata se il procedimento nel suo complesso, compreso il modo in cui sono state ottenute le prove, sia stato giusto, verificando, in particolare, se al ricorrente sia stata data la possibilità di contestare le prove e di opporsi al loro utilizzo e se le prove prodotte contro l’imputato siano state presentate in modo tale da garantire un processo equo perché un giusto processo presuppone il contraddittorio e la parità delle armi.

Le violazioni dell’art. 6 CEDU rilevate dalla Corte EDU

I Giudici di Strasburgo hanno rilevato violazioni molteplici del diritto ad un equo processo: i dati acquisiti dai servizi di sicurezza non sono stati inseriti nel fascicolo e la richiesta del ricorrente di disclousure è stata disattesa; la mole di dati grezzi del software ByLock e le informazioni sulla formazione degli elenchi degli utenti ByLock non sono state fornite; la richiesta di sottoporre tali dati a un esame indipendente per la verifica del loro contenuto e della loro integrità è stata respinta; le eccezioni relative all’attendibilità della prova è rimasta senza risposta; la difesa non ha potuto conoscere il contenuto decriptato delle conversazioni intercettate, che non sono state messe a disposizione.

La decisione

La Corte EDU ha ritenuto che i tribunali nazionali non abbiano messo in atto garanzie adeguate e sufficienti per garantire che il ricorrente avesse una reale opportunità di contestare le prove a suo carico, condurre la sua difesa in modo efficace e su un piano di parità con l’accusa, contestare efficacemente l’accusa e contrastare le questioni salienti del caso. Le prove ottenute, elettroniche o meno, non possono essere utilizzate dai tribunali nazionali in un modo che possa minare i principi fondamentali di un giusto processo.

L’efficacia della CEDU e delle sentenze della Corte EDU

I Governi firmatari della Convenzione sono i membri del Consiglio d’Europa, che tramite la Convenzione intendono realizzare un’unione più stretta tra i suoi membri, anche salvaguardando e sviluppando i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali, che costituiscono le basi stesse della giustizia e della pace nel mondo.

Le sentenze della Corte servono non solo a dirimere le cause di cui essa è investita, ma in modo più ampio anche a chiarire, salvaguardare e approfondire le norme della Convenzione; esse contribuiscono in tal modo al rispetto, da parte degli Stati, degli impegni dagli stessi assunti nella loro qualità di Parti contraenti.

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Studio Dal Pozzo

Avvocato penalista Milano

Avv. Licia Dal Pozzo