Il 28 giugno la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza relativa al sequestro della messaggistica riposta nella memoria di telefoni cellulari, smartphone o in qualsiasi altro dispositivo di natura analoga, stabilendo che l’apprensione del mezzo di prova deve seguire la norma sul sequestro della corrispondenza: serve, quindi, un provvedimento del Pubblico Ministero e la Polizia Giudiziaria non può acquisirla autonomamente.
Infatti la Suprema Corte ha precisato che i messaggi di posta elettronica, i messaggi whatsapp e gli sms custoditi nella memoria di un dispositivo elettronico conservano natura giuridica di corrispondenza anche dopo la ricezione da parte del destinatario.
La procedura di sequestro indicata dalla Corte di Cassazione
Il codice di procedura penale, in ossequio alle garanzie apprestate dalla Costituzione, dispone che il sequestro della corrispondenza avvenga su disposizione ovvero sotto il controllo dell’Autorità Giudiziaria.
In particolare, si prevede che quando al sequestro procede un ufficiale di polizia giudiziaria, questi deve consegnare al Pubblico Ministero gli oggetti di corrispondenza sequestrati, senza aprirli o alterarli e senza prendere altrimenti conoscenza del loro contenuto. Vi è il divieto per la polizia giudiziaria di avere accesso al contenuto dei messaggi, mentre le si consente il sequestro del loro contenitore, che deve essere consegnato all’autorità giudiziaria, unica legittimata a verificarne il contenuto, senza che la polizia giudiziaria possa accedervi di propria iniziativa.
Che cosa può fare la Polizia Giudiziaria
La Polizia Giudiziaria può sequestrare il dispositivo, senza accedere ai suoi contenuti e metterlo a disposizione del Pubblico ministero che, convalidata l’operazione di sequestro, con proprio provvedimento, potrà disporre l’accesso alla memoria dello smartphone e l’estrapolazione dei contenuti dei messaggi conservati nella sua memoria, tramite consulenza tecnica.
L’eccezione
Gli Ermellini hanno sottolineato che la regola citata subisce un’eccezione quando per il decorso del tempo o altra causa, i messaggi perdono ogni carattere di attualità, in rapporto all’interesse alla riservatezza, trasformandosi in un mero documento storico. Vale la procedura prevista per il sequestro dei documenti, che non prevede formalità: è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, in forma di allegati in copia cartacea o trasfusi nelle informative di polizia giudiziaria e non è indispensabile, ai fini della loro autonoma valutabilità, l’acquisizione della copia forense.
Perché non si possono applicare le norme sulle intercettazioni
Le intercettazioni consistono nell’apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti estranei al colloquio.
Per aversi intercettazione debbono ricorrere due condizioni, la prima delle quali è di ordine temporale: la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’estraneo, ossia deve essere colta nel suo momento dinamico, con la conseguente estraneità a tale nozione dell’attività di acquisizione del supporto fisico contenente la memoria di una comunicazione già avvenuta e, quindi, oramai quiescente nel suo momento statico.
La seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione: l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in maniera occulta, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali intercorre la comunicazione.
Nel caso dell’acquisizione dei messaggi custoditi nella memoria del dispositivo mancano entrambe tali condizioni, con la conseguenza che non può parlarsi di intercettazioni con riguardo alla loro acquisizione.
La garanzia dell’art. 15 della Costituzione
Sulla libertà e sulla segretezza della corrispondenza – cui la Corte di Cassazione ha ricondotto i messaggi – vigila la Costituzione, che all’art. 15 assicura la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, consentendone la limitazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria. Il Supremo Collegio ha specificato che la garanzia costituzionale si estende a ogni strumento che l’evoluzione tecnologica mette a disposizione a fini educativi, compresi quelli elettronici e informatici.
La protezione dell’art. 8 CEDU
La Suprema Corte ha sottolineato ulteriormente che soccorre nella direzione considerata anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha ricondotto sotto il cono di protezione dell’art. 8 CEDU i messaggi di posta elettronica e la messaggistica istantanea inviata e ricevuta tramite internet. In particolare, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo afferma che ogni persona ha diritto al rispetto della propria corrispondenza.
Il superamento dell’orientamento che equiparava i messaggi ai documenti
La sentenza in commento supera l’orientamento giurisprudenziale secondo cui i messaggi WhatsApp, i messaggi di posta elettronica e la messaggistica istantanea devono considerarsi alla stregua di documenti.
Invero, tale interpretazione riteneva che la corrispondenza già ricevuta e letta dal destinatario non fosse più un mezzo di comunicazione, perdesse la natura di corrispondenza e diventasse un semplice documento. La conseguenza è che i messaggi di posta elettronica, SMS e WhatsApp, già ricevuti e memorizzati nel computer o nel telefono cellulare del mittente o del destinatario, hanno natura di documenti e la loro acquisizione processuale, pertanto, non soggiace né alla disciplina delle intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche, né a quella del sequestro di corrispondenza. Secondo questa concezione la Polizia Giudiziaria può procedere al sequestro senza formalità.
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